Definizione utilizzata in ambito clinico e nella letteratura scientifica da più di un trentennio, la fragilità dell’anziano viene menzionata per la prima volta dallo studioso statunitense M.D. Fretwell e sta ad indicare quella condizione di precaria stabilità dei parametri clinici che si manifesta negli individui di età avanzata, in genere maggiore di 75 anni.

Bisogna subito precisare che non stiamo parlando di disabilità in senso stretto, ma di una sorta di condizione limite nella quale la variazione di uno o più fattori che possono apparire di poco conto, può invece causare la rottura di un equilibrio ed il conseguente insorgere di complicanze più o meno serie.

Se è vero infatti che l’indebolimento dell’organismo e la sua crescente vulnerabilità sono fenomeni fisiologici ed indissolubilmente collegati all’avanzare dell’età, fenomeni come la perdita di perso, la debolezza, la lentezza dei movimenti, il basso livello di attività ed un perenne stato di spossatezza sono campanelli d’allarme e come tali non devono essere sottovalutati.

L’ intervento tempestivo può evitare il precipitare della situazione.

La condizione dell’anziano fragile è infatti reversibile, purché si agisca con rapidità: gli elevati rischi di complicanze possono in caso contrario condurre rapidamente ad una perdita anche totale dell’autonomia funzionale dell’individuo.

In casi di questo genere il sostegno psicofisico di una figura assistenziale competente e qualificata può essere risolutivo e condurre gradualmente ad un ripristino delle condizioni ottimali per il paziente, oppure, se si agisce preventivamente, a mantenerle tali nei soggetti che si ritengono a rischio.