Abbiamo assistito negli ultimi anni ad un radicale mutamento nell’approccio clinico al decadimento cognitivo. Il morbo di Alzheimer, la demenza fronto-temporale, quella senile e tutte le condizioni che rientrano sotto la generica definizione di “demenze” generano infatti situazioni anche molto diverse tra loro ed è proprio questa soggettività, insieme al personale modo di affrontare l’evolversi della malattia di ciascun paziente, ad essere presi oggi maggiormente in considerazione.
Ciò fa sì che l’attenzione si focalizzi maggiormente su fattori precedentemente trascurati relativi al benessere dell’anziano e alla sua qualità di vita, e che i trattamenti che non si limitino più all’intervento farmacologico.
Strumento particolarmente valido in questo senso è il potenziamento cognitivo, capace di contribuire alla costruzione di un nuovo equilibrio nella vita del paziente basato sulla sua condizione reale e concreta, quindi anche sui suoi deficit, e volto appunto al potenziamento di quelle che sono le risorse residue. Se il recupero delle facoltà ormai definitivamente compromesse è da considerarsi irrealizzabile, il potenziamento cognitivo aiuta a preservare quelle residue, rallentando il decorso dei processi degenerativi e contribuendo alla salvaguardia della sfera sociale e relazionale, di quella comportamentale, dell’autonomia e, in generale, del benessere psichico del paziente.
Ma in cosa consiste esattamente? Sono terapie pensate “su misura”, che cambiano di paziente in paziente in base alle specificità e alle condizioni di ciascuno, e costituite da un insieme di attività diverse, tutte rivolte alla stimolazione di determinate facoltà cognitive quali memoria, attenzione e linguaggio, ma anche quelle relative all’orientamento nel tempo e nello spazio e alla percezione di se stessi. Insomma, tutte quelle funzioni che risultano generalmente compromesse in varia misura nei pazienti affetti da decadimento cognitivo.
Gli effetti benefici del potenziamento cognitivo sono tangibili: è stato dimostrato come questo genere di terapie contribuisca alla conservazione delle facoltà cognitive residue nei pazienti affetti da varie forme di demenza, rallentando il decorso della malattia e andando ad influire positivamente anche sugli aspetti emotivi, comportamentali e sociali.