Stando ai dati raccolti negli ultimi anni, il numero di pazienti affetti da demenze nel nostro paese si aggirerebbe intorno al milione: di questi, circa 600.000 sono quelli malati di Alzheimer, la malattia neurodegenerativa che annienta progressivamente le cellule cerebrali deteriorando ogni funzione cognitiva. Chi ne è affetto (per la maggior parte donne e persone di età compresa tra i 75 e gli 84 anni) diventa progressivamente incapace di badare a se stesso e di provvedere ai propri bisogni primari.

Se si fa cenno alle statistiche, non si può non citare anche quelle riguardanti coloro che gravitano intorno ai pazienti prendendosene cura: il 46,4 dei malati vive in famiglia, il 28,7% con un caregiver, mentre solo il 12,1% alloggia in residenze assistenziali qualificate. Altro dato importante: in Italia il ruolo del caregiver è quasi sempre ricoperto da un parente stretto del paziente, nella maggior parte dei casi un figlio.

Se si considera l’invecchiamento generale della popolazione, non stupisce che questi numeri siano destinati a crescere, andando a delineare quella che si può definire una vera e propria emergenza sanitaria e sociale cui contribuiscono anche i frequenti ritardi nella formulazione di diagnosi corrette. Se in parte questi sono certamente dovuti alla natura stessa della malattia che al suo esordio, prima ancora di manifestarsi, lavora nel buio logorando in silenzio le cellule del cervello, è vero anche che talvolta si tratta invece di veri e propri errori clinici: in Italia, nel 31,9% dei casi viene inizialmente diagnosticata al paziente un’altra malattia, nella maggior parte dei casi un generico declino cognitivo collegato all’avanzare dell’età. Si tratta di un dato estremamente significativo perché la diagnosi tempestiva del morbo di Alzheimer, consente quanto meno di migliorare le condizioni e la qualità di vita del malato della famiglia coinvolta e di contrastare per quanto possibile la progressione della malattia.

Il morbo di Alzheimer, lo ricordiamo, ancora non conosce cura ma ciò non vuol dire che non si possa fare nulla: adottare abitudini che possano “proteggere” il cervello contribuisce infatti positivamente alla prevenzione delle demenze e ne rallenta la progressione. Curare l’alimentazione, muoversi regolarmente, “allenare” la mente con attività mentali ed esercizi di tipo cognitivo, eseguire con regolarità esami e controlli e, in generale, adottare uno stile di vita sano e attivo sono solo alcuni esempi di comportamenti che possono aiutare.