È risaputo: le distrazioni e le disattenzioni, dopo una certa età, sono all’ordine del giorno e fanno parte del processo naturale di invecchiamento. Episodi legati alla mancanza di orientamento potrebbero però rappresentare un importante campanello d’allarme per quanto riguarda l’insorgenza di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.

Perdersi, non riuscire a ritrovare la strada di casa oppure un percorso precedentemente abituale, non riuscire ad orientarsi in un ambiente che era familiare e in generale la mancanza di memoria di tipo spaziale sarebbero quindi segnali da non sottovalutare: a dircelo è un recente studio volto ad indagare l’eventuale legame esistente tra gli episodi di disorientamento spaziale e patologie neurodegenerative.

L’esame in questione ha coinvolto 19 pazienti sani e 19 pazienti con diagnosi di decadimento cognitivo lieve, ovvero affetti da disturbi di memoria, attenzione e linguaggio ma autosufficienti. Obiettivo: comparare gli effetti naturali dell’invecchiamento con i sintomi di patologie come l’Alzheimer al fine di indagare i processi neurologici coinvolti nel decadimento cognitivo. Gli individui presi in esame hanno dunque completato dei test di memoria sulle posizioni all’interno di uno spazio peripersonale e navigazionale, prestandosi al tentativo di imparare un percorso e ripercorrerlo.

I risultati, secondo gli esperti, dimostrerebbero che  i pazienti caratterizzati da un decadimento cognitivo lieve hanno prestazioni inferiori nell’apprendimento di posizioni nello spazio navigazionale e maggiori difficoltà nell’apprendimento di percorsi in un ambiente reale. Prendendo in esame solo i pazienti che avevano mostrato deficit di memoria, i ricercatori hanno riscontrato che nel 75% dei casi questi soggetti avevano difficoltà nell’apprendimento di posizioni nello spazio navigazionale mentre avevano un comportamento normale quando si trattava di muoversi nell’ambiente peripersonale. Una discrepanza mai dimostrata precedentemente nei casi di invecchiamento patologico.

In conclusione, lo studio dimostrerebbe che la memoria di posizioni all’interno dello spazio navigazionale possa essere un marker neuropsicologico utile per la diagnosi precoce dell’invecchiamento patologico e per la tempestiva  attivazione di terapie farmacologiche.