Nel trattare di problematiche legate alle patologie e alle disabilità degli anziani, o più in generale nell’affrontare i vari aspetti che caratterizzano l’assistenza di questa categoria, si tende spesso a tralasciare un tema che è invece fondamentale e che ne costituisce uno degli aspetti dagli sviluppi maggiormente preoccupanti, ovvero il caregiving.

Infatti, quando un anziano malato e/o disabile non è affidato alle cure di un professionista o di una struttura dedicata, a prendersi carico di ogni sua esigenza e necessità è il caregiver, vale a dire una persona appartenente al suo stesso nucleo familiare che quotidianamente assolve la funzione di assistenza del proprio congiunto, occupandosi a tempo pieno del soddisfacimento delle sue necessità. Un impegno sicuramente complesso e gravoso, dai confini non ben definiti e che presenta non pochi rischi per coloro che se lo assumono: spesso, il suo svolgimento rischia infatti di invadere completamente la sfera privata di colui che assiste, il quale si ritrova a dover sacrificare completamente la propria persona.

Come recentemente evidenziato dalle statistiche la maggior parte dei caregiver in Italia è costituita da individui di sesso femminile: costituirebbero addirittura l’86% della popolazione femminile le donne impegnate, con diversi gradi d’intensità, nell’assistenza di familiari malati, siano essi genitori, figli oppure partner; di queste, una su tre svolgerebbe questo impegno in solitudine, senza ricevere alcuni aiuto, e solo una su quattro riceverebbe le agevolazioni necessarie dal punto di vista lavorativo.

Si tratta di dati significativi: è facile infatti intuire come un simile carico di lavoro, con le implicazioni emotive che sottintende, possa ripercuotersi negativamente sulla vita di queste persone, minandone seriamente la salute psico – fisica. Diverse sono le ricerche che hanno rilevato e dimostrato come i caregiver tendano col tempo a trascurarsi, anteponendo la salute della persona accudita alla propria, e rimandando ciò che invece li riguarda direttamente come controlli, esami e visite mediche, ma anche più banalmente mettendo da parte le buone abitudini che ciascuno dovrebbe coltivare con lo scopo di preservare il proprio benessere e la propria salute, comprese quelle più frivole.

Questo peggioramento della qualità di vita comporterebbe, nella peggiore delle ipotesi, un vero e proprio rischio di burnout: l’esaurimento emotivo, fisico e mentale non è raro in queste situazioni in cui lo stress e l’eccessivo carico di lavoro si accumulano e possono dar luogo a insidiose forme depressive destinate col tempo a minare seriamente l’equilibrio psichico del soggetto.

Purtroppo l’atteggiamento del caregiver consiste quasi sempre nel rifiutarsi di chiedere aiuto e nel provare a risolvere solo con le proprie forze la situazione, peggiorandola: è invece fondamentale in questi casi rivolgersi all’esterno e cercare un appoggio accettando che, anche solo parzialmente, siano figure professionali esterne al nucleo famigliare a prendersi carico del lavoro contribuendo ad una migliore gestione del malato.