La pressione sanguigna è, insieme alla frequenza respiratoria e a quella cardiaca, alla saturazione dell’ossigeno e alla temperatura corporea, uno dei cosiddetti segni vitali, ovvero uno di quei parametri utili nella valutazione della funzionalità del nostro organismo.

Nello specifico, essa corrisponde alla pressione che il sangue esercita contro le pareti dei nostri vasi sanguigni in seguito all’azione di pompa svolta da cuore e quindi alla circolazione: il suo valore viene misurato in millimetri di mercurio (mmHg) e viene definito attraverso due valori, uno massimo (pressione sistolica) ed uno minimo (pressione diastolica).

Secondo la comunità medico-scientifica, la pressione arteriosa ottimale a riposo è pari a 120/80 mmHg.

Condizione primaria ed indispensabile per poter parlare propriamente di ipertensione è il verificarsi di quella condizione in cui la pressione arteriosa risulta essere più alta rispetto a quegli standard considerati fisiologicamente normali e, soprattutto, che questa sia una condizione costante e non occasionale. Va dunque fatta una netta distinzione rispetto a condizioni passeggere ed occasionali di “pressione alta”: l’ipertensione è una vera e propria patologia.

Se ne distinguono diversi gradi, caratterizzati da crescente gravità:

  • Lieve o pre-ipertensione: quando l’aumento pressorio supera i 130/85 ma rimane sotto i 139/89 mmHg;
  • Tra il moderato e l’elevato o ipertensione allo stadio 2: quando si oltrepassano i 160/100 mmHg ma non si superano i 179/109 mmHg;
  • Elevato o ipertensione allo stadio 3 o crisi ipertensiva quando l’incremento pressorio è maggiore o uguale a 180/110 mmHg.

Si tratta di una condizione subdola perché quasi sempre asintomatica e solo in parte è collegata all’avanzare dell’età: un parte dell’incremento pressorio è infatti indubbiamente legato ai processi di invecchiamento ma è altrettanto indubbio che, soprattutto quando si verificano incrementi di maggiore entità, incidano notevolmente altri fattori. Tra questi sicuramente:

  • il regime alimentare inadeguato;

  • lo stress;

  • il fumo;

  • il consumo eccessivo di alcol;

  • la scarsa attività fisica.

Come comportarsi allora con i pazienti ipertesi della terza età e in quali casi allarmarsi?

Dopo il compimento del sessantesimo anno di età, i valori di pressione arteriosa subiscono come abbiamo detto un aumento fisiologico, soprattutto per quanto riguarda il suo valore massimo, e ciò si deve prevalentemente all’irrigidimento dei vasi arteriosi.

Un’ipertensione lieve non deve dunque destare allarmi infondati, ma deve allo stesso tempo richiamare in qualche modo all’ordine il diretto interessato: come nella maggior parte delle patologie, la prevenzione è già la cura e bisogna perciò assumere comportamenti che siano in linea con le proprie condizioni adeguandosi ad uno stile di vita sano.

Esistono tuttavia particolari circostanze di salute in cui, per i pazienti anziani, anche il minimo rialzo pressorio è da considerarsi estremamente pericoloso a causa di altre patologie o condizioni pregresse, come ad esempio:

  • diabete;

  • ictus;

  • insufficienza renale;

  • problemi cardiovascolari (angina pectoris; infarto del miocardio; ipercolesterolemia)